Il congedo di maternità è il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice.
Il congedo di maternità obbligatorio (chiamato anche “astensione obbligatoria” dal lavoro) è un periodo di 5 mesi (due mesi precedenti la data presunta del parto e tre dopo) nei quali la donna, per legge, deve astenersi dal lavoro.
Le norme sulla protezione delle lavoratrici madri (L. n. 1207/71, D.P.R. n. 1026/76, L. n.53/2000) riunite e coordinate nel D. Lgs. 151/2001 (T.U. Delle disposizioni in materia di maternità, paternità e congedo parentale), prevedono una duplice tutela:
- di tipo normativo con l’obiettivo di preservare l’integrità della salute della donna e del bambino, con particolare attenzione ai portatori handicap;
- di tipo economico, basata sulla garanzia di un certo trattamento economico che viene erogato durante i periodi di assenza dal lavoro da parte della lavoratrice.
La tutela viene realizzata principalmente garantendo alla lavoratrice un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, uno facoltativo a discrezione della lavoratrice, una serie di permessi retribuiti e/o di aspettative non retribuite finalizzati all’assistenza e alla cura del bambino.
Nei periodi di gravidanza e puerperio la lavoratrice:
- è legittimata ad astenersi dal lavoro, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo stabilito dalla legge;
- ha diritto ad un trattamento economico a carico dell’INPS (generalmente anticipato dal datore di lavoro) integrato da trattamenti retribuiti previsti dalla contrattazione collettiva;
- ha diritto al computo del periodo di assenza per le cause anzidetto nell’anzianità di servizio.
Una disciplina particolare è prevista per le lavoratrici domestiche, per quelle a domicilio, per quelle agricole, dello spettacolo e per le collaboratrici coordinate e continuative.
Congedo di maternità
Per congedo di maternità si intende l’astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice per i periodi di seguito indicati.
In particolare, è vietato adibire al lavoro le donne:
- durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto in tema di flessibilità del congedo di maternità;
- ove il parto avvenga oltre la data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto. Lo scostamento temporale tra data effettiva e data presunta del parto non dovrebbe superare, in generale, i normali limiti fisiologici (30 giorni);
- durante i tre mesi dopo il parto. Il computo del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro decorre, in tal caso, dal giorno successivo a quello del parto;
- durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta (parto prematuro). Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto.
I periodi di astensione obbligatoria, se riferiti a mese, sono computabili secondo il calendario comune.
Estensione del divieto
E’ vietata la prestazione lavorativa per le donne in gravidanza nei 2 mesi precedenti il parto e nei 3 mesi successivi a questo. Ferma restando la durata del periodo complessivo dell’astensione obbligatoria dal lavoro di 5 mesi, è prevista la possibilità, per le donne in gestazione, di continuare a lavorare fino all’ottavo mese di gravidanza, in modo da usufruire di un mese di astensione prima del parto e di 4 mesi successivamente a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato, attesti che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
Il Ministero del lavoro, nelle more dell’emanazione del decreto, ha stabilito i presupposti per l’immediata applicabilità della norma, precisando che il ricorso all’opzione è immediatamente esercitabile in presenza dei seguenti presupposti:
- assenza di condizioni patologiche che configurino situazioni di rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro al momento della richiesta;
- assenza di un provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro da parte della competente Direzione provinciale del lavoro (Servizio ispezione);
- venir meno delle cause che abbiano in precedenza portato ad un provvedimento di interdizione anticipata nelle prime fasi di gravidanza;
- assenza di pregiudizio alla salute della lavoratrice e del nascituro derivante dalle mansioni svolte, dall’ambiente di lavoro e/o dall’articolazione dell’orario di lavoro previsto; nel caso venga rilevata una situazione pregiudizievole, alla lavoratrice non potrà comunque essere consentito, ai fini dell’esercizio dell’opzione, lo spostamento ad altre mansioni ovvero la modifica delle condizioni e dell’orario di lavoro;
- assenza di controindicazioni allo stato di gestazione riguardo alle modalità per il raggiungimento del posto di lavoro. Il periodo di flessibilità, che va da un minimo di un giorno ad un massimo di un mese, può essere successivamente ridotto su istanza della lavoratrice o per fatti sopravvenuti (ad esempio l’insorgere di una malattia) con conseguente differimento, al periodo successivo al parto, delle giornate di astensione obbligatoria “ordinaria” non godute prima della data del parto stesso, e considerate oggetto di flessibilità.
Il divieto è anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto, quando le lavoratrici siano occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.
Tali lavori sono determinati con decreto del Ministero del lavoro, sentite le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all’emanazione del primo decreto ministeriale, l’anticipazione del divieto di lavoro è disposta dal Servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio.
E’ possibile anche l’interdizione anticipata fino a due mesi precedenti la data presunta del parto e/o prorogata fino a sette mesi dopo il parto nei casi di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presumano possano essere aggravate dallo stato di gravidanza; quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino; quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni.
In questi casi, l’interdizione dal lavoro viene disposta dalle Direzioni provinciali del lavoro sulla base di accertamento medico, avvalendosi di competenti organi del Servizio sanitario nazionale.
Nel periodo di astensione obbligatoria si ha diritto all’80% della retribuzione media globale giornaliera (R.M.G.G.), comprensiva dei ratei di tredicesima e quattordicesima (in quanto durante l’astensione obbligatoria la lavoratrice matura sia la 13sima che la 14esima), percepita nell’ultimo periodo di paga quadri-settimanale o mensile scaduto o immediatamente precedente a quello nel quale l’astensione ha avuto inizio. Durante il periodo di astensione obbligatoria la lavoratrice ha diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio a tutti gli effetti (ferie, tredicesima, quattordicesima, progressione di carriera, ecc.), fatto salvo il trattamento di maggior favore previsto dai contratti collettivi, che spesso obbligano il datore di lavoro ad integrare la retribuzione fino al 100% della stessa.
Nel caso di gravi complicanze della gestazione, di condizioni ambientali di lavoro pregiudizievoli e di impossibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni, può essere richiesta l’astensione anticipata dal lavoro. Quest’ultima si ottiene presentando domanda, con allegato certificato medico, al servizio ispettivo della direzione provinciale del lavoro. Il trattamento economico è identico a quello previsto per l’astensione obbligatoria. Il periodo di astensione anticipata è riconosciuto utile come anzianità di servizio a tutti gli effetti.
Congedo di paternità
Per congedo di paternità si intende l’astensione dal lavoro del lavoratore, fruito in alternativa al congedo di maternità.
la Legge riconosce il diritto al padre lavoratore di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di:
- morte o di grave infermità della madre;
- abbandono o affidamento esclusivo del bambino al padre.
Al padre lavoratore che intende avvalersi del congedo di paternità spetta lo stesso trattamento economico e previdenziale previsto per il congedo di maternità.
Esaurita l’astensione obbligatoria, si può richiedere un ulteriore periodo di astensione facoltativa. Si prevede infatti che, nei primi 8 anni di vita del bambino, i genitori possano assentarsi dal lavoro per un periodo complessivo di 10 mesi, elevabili a 11, se il padre si astiene per almeno 3 mesi.
Il diritto compete alla madre per un periodo massimo (continuativo o frazionato) di 6 mesi e al padre per un periodo non superiore a 6 mesi, tranne nel caso in cui questi si astenga dal lavoro per un periodo non inferiore a 3 mesi. In tal caso, il limite di astensione per il padre è elevato a 7 mesi, nel rispetto del tetto massimo usufruibile da entrambi i genitori di 11 mesi.
Il diritto di assentarsi dal lavoro, limitatamente ad un periodo di 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino, si estende alle lavoratrici autonome di cui alla L. 546/87, se madri di bambini nati a decorrere dal 1° gennaio 2000.
Per i periodi di astensione facoltativa, ai lavoratori e alle lavoratrici è dovuta, fino a 3 anni del bambino, un’indennità pari al 30% della R.M.G.G., con esclusione dei ratei di 13esima, di 14esima e di altre mensilità aggiuntive (in quanto, durante l’astensione facoltativa, la lavoratrice non matura né 13esima e né 14esima), per un periodo massimo complessivo di 6 mesi, riferito ad entrambi i genitori.
Per il restante periodo di astensione facoltativa, sia quello successivo ai 6 mesi già fruiti, entro i 3 anni di vita del bambino, sia quello usufruibile dai 3 agli 8 anni del figlio, l’indennità spetta nella misura del 30% solo se il reddito del singolo genitore interessato sia inferiore a 2,5 volte il trattamento minimo di pensione a carico dell’Assicurazione generale obbligatoria.
I periodi di astensione facoltativa sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima. Sono fatti salvi i trattamenti di maggiore favore.
Aborto
L’interruzione della gravidanza spontanea o volontaria è considerata a tutti gli effetti malattia e pertanto comporta il diritto al trattamento di malattia.
L’interruzione della gravidanza intervenuta dopo il 180° giorno dall’inizio della gestazione è invece considerata come parto e comporta il diritto al periodo di congedo di maternità e alle relative indennità per i tre mesi successivi. Per data di inizio della gestazione si intende il 300° giorno antecedente la data presunta del parto.