Il lavoro intermittente o lavoro a chiamata (job on call) è un contratto mediante il quale un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro che, nell’arco di tempo previsto dal contratto, può chiamarlo a operare, a seconda delle esigenze produttive.
Viene soprattutto utilizzato nei pubblici esercizi o nel turismo e cioè in quelle attività che hanno picchi lavorativi in determinati periodi dell’anno.
Il lavoratore riceve una retribuzione per le ore di lavoro effettivamente svolte e un importo definito indennità di disponibilità, ove prevista, per le ore non lavorate. Il lavoratore è così tenuto a prestare la propria opera ogni volta che il datore di lavoro lo richiede e a rimanere a disposizione per il periodo stabilito, fino alla successiva chiamata.
Il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato sia a tempo determinato che a tempo indeterminato.
La legge di riforma del mercato del lavoro (L. 92 del 28 giugno 2012) ha introdotto alcune modifiche a questo particolare tipo di contratto che cercheremo di sintetizzare in questa pagina.
Dal 18 luglio 2012 è ammessa la sottoscrizione di un contratto di lavoro intermittente a soggetti con più di cinquantacinque anni di età e a soggetti con meno di ventiquattro anni di età, ma in quest’ultimo caso le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di età.
E’ consentito il ricorso al lavoro intermittente per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai CCNL stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. E’ rimessa alla contrattazione collettiva l’individuazione delle esigenze e dei periodi predeterminati che giustificano il ricorso a questa tipologia di contratto (art. 34 L.92/2012)
La legge di riforma del mercato del lavoro abroga l’art. 37 del D.Lgs 276/2003 e quindi non è più possibile imputare la chiamata del lavoratore alle causali cosiddette periodi predeterminati (il fine settimana, le ferie estive, natalizie e pasquali), pertanto, nonostante l’abrogazione dell’articolo 37 abbia decretato l’eliminazione del riferimento ai periodi quali il fine settimana, le ferie estive, natalizie e pasquali, stante la formulazione dell’articolo 34 il lavoro a chiamata può comunque essere stipulato per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
Infine, i datori di lavoro, prima dell’inizio della prestazione lavorativa, sono tenuti a comunicare la chiamata e la sua durata alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio.
I contratti di lavoro intermittenti già sottoscritti alla data di entrata in vigore della L. 92/2012 che non siano compatibili con le nuove disposizioni cessano di produrre effetti dopo 12 mesi dalla data di entrata in vigore della suddetta legge.
Il lavoro intermittente non può essere utilizzato:
- per sostituire lavoratori in sciopero
- per integrare lavoratori con le stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata o intermittente all’interno di unità produttive in cui nei sei mesi precedenti siano stati effettuati licenziamenti collettivi o ci sia stata una sospensione dei rapporti di lavoro o una riduzione dell’orario di lavoro, salva diversa disposizione degli accordi sindacali.
Il lavoratore intermittente ha diritto, per il periodo di lavoro effettivamente svolto, allo stesso trattamento retribuivo e normativo riconosciuto ad un lavoratore subordinato di pari livello, a parità di mansioni svolte.
Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente viene determinato in proporzione alla durata della prestazione di lavoro di fatto svolta, sia per quanto riguarda l’importo della retribuzione, sia per quanto riguarda la retribuzione per il periodo feriale e i trattamenti di malattia, infortunio, malattia professionale, congedi parentali. Nel periodo di disponibilità il lavoratore intermittente matura solo il diritto all’eventuale indennità, non è pertanto titolare di alcun trattamento riconosciuto ai lavoratori subordinati.
Il datore di lavoro è tenuto a corrispondere l’indennità di disponibilità al prestatore di lavoro solo nel caso in cui quest’ultimo si sia obbligato contrattualmente a rispondere alla sua chiamata.
La misura dell’indennità mensile di disponibilità viene stabilita dai contratti collettivi e non può essere inferiore al 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato.
L’indennità non è dovuta nel periodo in cui il lavoratore dichiari le sua temporanea indisponibilità (per malattia o altro impedimento) a rispondere alla chiamata del datore di lavoro.
Il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo di preavviso di chiamata che deve essere indicato nel contratto di lavoro e che comunque non può essere inferiore ad un giorno lavorativo.
Il rifiuto ingiustificato del lavoratore di rispondere alla chiamata può comportare la risoluzione del contratto di lavoro e la restituzione della quota di disponibilità maturata nel periodo successivo al rifiuto. In questo caso il lavoratore sarà anche tenuto a risarcire il danno arrecato al datore nella misura fissata dai contratti collettivi, o in mancanza, dal contratto di lavoro.
In caso di malattia o di altra impossibilità temporanea di rispondere alla chiamata il lavoratore deve informare tempestivamente il datore di lavoro indicando anche la durata dell’impedimento. Per il periodo di temporanea indisponibilità il lavoratore non matura il diritto all’indennità di disponibilità.
Nel caso in cui il lavoratore non comunichi al datore di lavoro la propria temporanea indisponibilità, perde il diritto all’indennità per un periodo di 15 giorni, salvo diversa disposizione del contratto individuale.