Il contratto a tempo indeterminato è un accordo fra le parti nel quale il lavoratore si impegna dietro versamento di una retribuzione e senza vincolo di durata alcuno, a prestare la propria attività lavorativa accettando il potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Il contratto di lavoro subordinato va inteso quindi a tempo indeterminato.
Per l’anno 2016 con la Legge di Stabilità 2016, si conferma l’esonero contributivo che viene concesso ai datori di lavoro che assumono nuovi lavoratori a tempo indeterminato, lo sconto contributivo per le imprese che assumono a tempo indeterminato nel 2016 è pari al 40%, fino a massimo di esonero pari a 3.250 euro.
I requisiti che devono possedere i lavoratori per i quali si richiede lo sgravio sono i seguenti:
- il lavoratore nei sei mesi precedenti non deve risultare occupato a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro;
- l’esonero contributivo non deve essere già stato usufruito in relazione a precedente assunzione a tempo indeterminato.
Per il secondo punto, l’espressione “precedente assunzione a tempo indeterminato”, che è piuttosto ambigua di interpretazione l’INPS, con la circolare n.17/2015, ha chiarito che “Il lavoratore non deve avere avuto un precedente rapporto di lavoro con lo stesso datore di lavoro che assume”.
In altre parole l’INPS consente di beneficiare dello sgravio contributivo solo se il lavoratore non ha avuto un precedente rapporto di lavoro con lo stesso datore che ha già goduto della medesima agevolazione o dell’esonero previsto dall’art. 1, comma 118, della Legge n.190/2014. Questo vale anche nel caso in cui l’agevolazione sia stata già fruita da una società controllata dal datore di lavoro o ad esso collegata ai sensi dell’articolo 2359 del c.c. o facente capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto, al momento della nuova assunzione.
In caso diverso, nulla vieta di fruire dell’esonero se l’assunzione riguarda un lavoratore che ha già consentito la fruizione dell’esonero ad un diverso datore di lavoro, purché siano rispettati gli altri requisiti.
La riforma del Jobs Act, in materia del contratto di lavoro a tempo indeterminato e l’avvento delle tutele crescenti in materia di licenziamento, in sostituzione Art.18, è di fatto un disincentivo alla mobilità dei lavoratori: cambiare azienda, per esempio, per un trattamento economico ed un inquadramento migliore, significa dire addio al posto sicuro che il vecchio tempo indeterminato garantiva. Ma forse non tutto è andato perso.
La nuova riforma si applica a tutti i nuovi assunti mentre non valgono per i rapporti di lavoro già in essere al 7 marzo 2015, quando è entrata in vigore la legge, che rimangono disciplinati dal precedente articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300/1970) nelle aziende con più di 15 dipendenti. Dunque, confrontando i contratti a tempo indeterminato, cambiare lavoro risulta essere più rischioso perché si corre il rischio di cadere nelle tutele crescenti.
Il rimedio per ovviare a questa situazione è rimesso all’autonomia contrattuale: neoassunto e datore di lavoro possono accordarsi in fase di contratto per l’applicazione di un regime di tutele (in caso di licenziamento) più favorevoli rispetto a quelle standard, tramite clausole di miglior favore rispetto al regime legale delle tutele crescenti. Le soluzioni pattizie percorribili sono ampie:
- innalzamento indennità risarcitoria rispetto a quella spettante in applicazione del Jobs Act (ad esempio, rispetto ai 4 mesi previsti in caso di licenziamento illegittimo nei primi due anni di contratto);
- attribuzione di un’anzianità convenzionale, valevole anche ai fini dell’individuazione della tutela in caso di licenziamento;
- stessa tutela riservata ai lavoratori a tempo indeterminato con le regole previgenti;
- clausola di durata minima garantita, ossia impegno delle parti a non recedere dal rapporto per un periodo di temo prestabilito, salvo impossibilità della prestazione o giusta causa di recessi tale da non consentire la prosecuzione del rapporto.
Anche per agli assunti con il vecchio tempo indeterminato, in un’azienda che si trova a superare i 15 dipendenti dopo il 7 marzo 2015, scatta il nuovo contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act e, di conseguenza, vengono abolite le tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Significa che se l’impresa sale sopra i 15 dipendenti per effetto delle nuove assunzioni a tempo indeterminato effettuate dopo il 7 marzo 2015, a cui si deve obbligatoriamente applicare il nuovo contratto a tutele crescenti, allora non applicherà la tutela reale dell’articolo 18 (reintegro in caso di licenziamento illegittimo) alla totalità dei dipendenti. Se invece un’azienda aveva già più di 15 dipendenti prima del 7 marzo, allora mantiene il vecchio contratto per i vecchi assunti.
La precedente normativa fissava nei 15 dipendenti la soglia sopra la quale scattava la protezione contro il licenziamento illegittimo dell’articolo 18: nel momento in cui l’azienda assumeva il 16esimo dipendente scattava la protezione per la totalità dei lavoratori. Il Jobs Act elimina questo paletto: tutte le aziende con meno di 15 dipendenti al 7 marzo 2015, anche nel momento in cui eventualmente superano questa soglia, applicano le nuove tutele contro il licenziamento:
- reintegro in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale;
- indennità risarcitoria per licenziamento economico (giustificato motivo oggettivo) e in alcuni casi disciplinari (giustificato motivo soggettivo e giusta causa);
- reintegro se il giudice stabilisce l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, nei casi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa.
Se le nuove assunzioni a tutele crescenti non comportano il superamento della soglia dei 15 dipendenti, succede il contrario: non si estende ai vecchi assunti la nuova normativa sui licenziamenti e restano le vecchie regole anche per i nuovi assunti. Significa che non c’è mai reintegro in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa. L’unico caso in cui il giudice può stabilirlo è il licenziamento discriminatorio in base all’articolo 9, comma 1, del decreto 23/2015.
Il decreto sul nuovo contratto a tutele crescenti prevede un indennizzo più basso per le imprese sotto i 15 dipendenti in caso di licenziamento illegittimo. Il risarcimento in queste imprese non può mai superare le sei mensilità. All’interno di questo limite, l’indennità è pari a una mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di due mensilità, oppure a mezza per ogni anno di servizio con un minimo di una nei seguenti casi:
- licenziamento illegittimo per violazione del requisito di motivazione: se manca la comunicazione con i motivi che lo hanno determinato;
- licenziamento illegittimo per mancato rispetto della procedura prevista dall’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori, sugli obblighi per l’azienda in caso di contestazioni disciplinari;
- procedura di conciliazione (offerta economica che, se accettata, comporta la rinuncia a impugnare il licenziamento).
Se con le nuove assunzioni effettuate dopo il 7 marzo l’azienda supera i 15 dipendenti, a tutti si applicano le indennità piene previste dal decreto: due mensilità per ogni anno di servizio (minimo di 4 e massimo 24) con i seguenti casi particolari:
- una mensilità per ogni anno di servizio (minimo 2 e massimo 12) se il licenziamento è illegittimo per vizio di motivazione o mancato rispetto della procedura di cui all’articolo 7 legge 300/2970; una mensilità per ogni mese di servizio (minimo 2 e massimo 18) in caso di conciliazione prevista dall’articolo 6.