Licenziamento

LicenziamentoIl rapporto di lavoro può terminare sia per volontà del lavoratore sia per volontà del datore di lavoro, previo preavviso all’altra parte.

La nuova Riforma del lavoro “Jobs Act” enuncia il funzionamento dei “contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti” modificando  le norme che regolano i licenziamenti individuali e collettivi di operai, impiegati e quadri assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto, anche nei casi di conversione del contratto a tempo determinato o dell’apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

Il nuovo Decreto in materia di licenziamenti:

  • elimina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, per i licenziamenti economici, ma prevede un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio;
  • limita il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e particolari casi di licenziamento disciplinare ingiustificato;
  • prevedere termini certi per l’impugnazione del licenziamento.

Il licenziamento discriminatorio è quello nei confronti di un lavoratore, indipendentemente dal sesso (uomo o donna), “a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero” o “a fini discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua e di sesso” (secondo l’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori). Il licenziamento discriminatorio, nella maggior parte dei casi, è da considerarsi nullo, a prescindere dal numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro. La normativa non si applica ai dirigenti. Nel caso in cui venga riconosciuto, il lavoratore ha diritto alla tutela reale completa, ovvero può scegliere tra la reintegrazione nel posto di lavoro o un’indennità pari a 15 mensilità, mentre il datore di lavoro viene condannato al risarcimento delle retribuzioni spettanti dal licenziamento fino alla reintegrazione, compresi i contributi previdenziali e la sanzione per averli pagati in ritardo, dedotto quanto percepito, in tale periodo, per lo svolgimento di altre attività lavorative (ma comunque non meno di 5 mensilità).

Anche per i licenziamenti nulli, dove si viola il divieto di licenziare a causa di matrimonio o per fruizione dei congedi di maternità, paternità e parentali, inefficaci per mancanza di forma scritta o quando il giudice accerti motivi legati alla disabilità fisica o psichica del lavoratore, hanno le stesse conseguenze dei licenziamenti discriminatori.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è effettuato per motivi legati all’organizzazione del lavoro dell’impresa stessa. Un esempio di motivi che possono portare al licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono: crisi aziendale, cessazione dell’attività, la mancanza delle mansioni a cui era assegnato il lavoratore, senza la  possibilità di  ricollocarlo in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il livello di inquadramento.

Se il giudice non riconosce il giustificato motivo oggettivo che ha portato al licenziamento, cioè se il datore di lavoro si è appigliato pretestuosamente a questa causa, dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità (senza contributi previdenziali) di importo pari a 2 mensilità (1 per le aziende sotto i 15 dipendenti) per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità (non inferiore a 2 e non superiore a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti).

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa: il licenziamento per giusta causa è dovuto  ad  un comportamento grave tenuto dal  lavoratore da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, mentre quello per giustificato motivo soggettivo è dovuto per comportamenti disciplinarmente rilevanti tenuti dal lavoratore ma non così gravi da comportare il licenziamento per giusta causa, e quindi senza preavviso.

Se il giudice ritiene che la causa del licenziamento sia reale, ma non tale da giustificare un atto così forte (per esempio se era sufficiente un provvedimento disciplinare), dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità (senza contributi previdenziali) di importo pari a 2 mensilità (1 per le aziende sotto i 15 dipendenti) per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità (non inferiore a 2 e non superiore a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti).

Se invece per il giudice il licenziamento è illegittimo, in quanto il fatto materiale contestato non sussiste, allora si ha la cosiddetta “tutela reale attenuata”: il lavoratore ha diritto di scegliere tra la reintegrazione nel posto di lavoro o un’indennità pari a 15 mensilità, mentre il datore di lavoro viene condannato al risarcimento delle retribuzioni spettanti dal licenziamento fino alla reintegrazione, compresi i contributi previdenziali ma senza la sanzione per averli pagati in ritardo, dedotto quanto percepito, in quel periodo, per lo svolgimento di altre attività lavorative (ma comunque non più di 12 mensilità).

Il licenziamento inefficace per violazioni formali: il licenziamento risulta inefficace quando viene effettuato violando i formali obblighi previsti dalla legge (ad esempio quando manca la motivazione,  non è stato seguito l’iter delle sanzioni disciplinari), il giudice dichiara comunque estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità (senza contributi previdenziali) di importo pari a una mensilità (0,5 per le aziende sotto i 15 dipendenti) per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità (non inferiore a 1 e non superiore a 6 per le aziende sotto i 15 dipendenti).

Il licenziamento collettivo inefficace e illegittimo: parliamo di licenziamento collettivo quando una azienda effettua una importate riduzione del personale in un periodo di crisi, a seguito di una ristrutturazione produttiva oppure in vista della chiusura definitiva dell’azienda. Il licenziamento collettivo, disciplinato dalla L. 223/1991, si realizza attraverso una complessa procedura che può essere attivata soltanto in presenza di particolari condizioni, anche per quanto riguarda i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.

Se il giudice ritiene il licenziamento collettivo inefficace perché effettuato in forma verbale e non scritta, è prevista la tutela piena, e quindi si applicano le stesse regole come nel caso di licenziamento discriminatorio. Se invece il licenziamento è effettuato in violazione dei criteri di scelta, o senza il rispetto delle procedure sindacali previste, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità (senza contributi previdenziali) di importo pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.